Approfondimento in diritto penale per l’esame di avvocato sul rapporto tra malversazione ai danni dello Stato e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, unità e pluralità di norme.

Rapporto tra malversazione e truffa aggravata. Corso per esame di avvocato.

In ogni ordinamento si presenta il problema di decidere quando uno stesso fatto è su sussumibile in più fattispecie incriminatrici se imputarle all’autore entrambe o soltanto una assorbente del disvalore dell’altra.

Nel nostro ordinamento il problema è solo attenuato da quando con la novella del 1974 si è allargata la figura del concorso formale anche a quello eterogeneo, in quanto l’alternativa oggi è tra assorbimento e il più mite cumulo giuridico rispetto a quello materiale.

La tematica risulta di non facile soluzione, come dimostrano i contrasti in dottrina, in quanto non investe solo i casi in cui tra le due fattispecie sussiste il rapporto di specialità pura, vale a dire quello in cui la norma speciale specifica un elemento generico contenuto in quella generale (la species infante  rispetto al genus essere umano  come nel rapporto tra omicidio e infanticidio) o, tutt’al più, quello in cui la norma speciale contiene un elemento ulteriore rispetto alla generale (il consenso della vittima nell’omicidio del consenziente rispetto alla figura generale dell’omicidio); ci sono dei casi nei quali, mancando in astratto il rapporto di specialità, in concreto più fattispecie incriminatrici sono applicabili al fatto commesso: è proprio quando ricorre tale circostanza che diventa difficile stabilire se applicare il principio dell’assorbimento o quello dell’imputazione all’autore del fatto di entrambe le figure con il  trattamento del cumulo giuridico come previsto all’articolo 81 del codice penale.

Nella soluzione di tale problema la dottrina si divide in due categorie: una prima ritiene che a governare la materia dell’unità o pluralità di norme, oltre al principio di specialità espresso dall’articolo 15 del codice penale, vi sia anche quello valoristico che farebbe capo al concetto del “ne bis in idem”.

Esso, in maniera non molto dissimile enunciato dalle teorie della consunzione e della sussidiarietà, troverebbe il suo referente normativo nella presenza nel nostro ordinamento penale delle cosiddette clausole di riserva che in parte speciale  escludono l’applicazione del concorso formale rispetto ad un reato nel caso in cui la condotta necessaria per soddisfare una sia sussumibile anche sotto altra fattispecie incriminatrice (come succede, ad esempio, nel caso di abuso d’ufficio la cui fattispecie rimane assorbita nel caso in cui la condotta soddisfi altra figura di reato).

È evidente come in questi casi non sussista il rapporto di specialità tra le fattispecie; la loro esistenza dimostra che il legislatore ha ritenuto di allargare la casistica dell’assorbimento e ciò in omaggio al principio del “ne bis in idem”; pertanto, anche in caso di assenza di una clausola di riserva, ove fosse riscontrabile pur in assenza del rapporto di specialità che una norma consumi il disvalore dell’altra, bisognerebbe applicare il principio dell’assorbimento.

Questa tesi viene sottoposta a critica proprio in relazione al referente normativo su cui essa si poggia: si ritiene infatti che le clausole di riserva siano figure eccezionali e come tali insuscettibili di interpretazione analogica.

I seguaci di tale critica appartengono alla seconda categoria di pensiero sul come risolvere il problema, vale a dire ai cosiddetti normativisti.

Essi ritengono che soltanto i referenti espressamente previsti dal legislatore consentano di applicare la disciplina dell’assorbimento, ma per non confinare l’applicazione di quest’ultimo solo ai casi in cui sussiste realmente il rapporto di specialità tra le fattispecie incriminatrice, sono costretti ad interpretazioni degli stessi che ne violentano l’autentica portata.

Così è per la teoria della specialità in concreto secondo la quale l’articolo 15 del codice penale sarebbe applicabile anche a quei casi in cui, pur non sussistendo in astratto tra le fattispecie il rapporto di specialità, in concreto una di esse sia una specificazione di un elemento dell’altra (come nel caso in cui gli artifizi e i raggiri della truffa siano espletati mediante millantato credito).

Rapporto tra malversazione e truffa aggravata. Corso per esame di avvocato.

Altra tesi, ancora più spinta, individua la figura della specialità reciproca che sussisterebbe nel caso in cui tra le fattispecie esista un nucleo comune e poi ciascuna abbia un elemento di specialità rispetto ad esso.

Collegata a questa posizione è quella che ritiene di dover dare un’interpretazione allargata della figura del reato complesso che  ricomprenderebbe oltre a quello in senso stretto, composto istituzionalmente da due figure (come nel caso del reato di rapina), anche quello in senso lato, composto da una figura di reato più un quid pluris di per sé penalmente irrilevante e quello eventualmente complesso caratterizzato dal fatto che una figura di reato soltanto in alcune occasioni coincida in una delle sue componenti con un’altra fattispecie incriminatrice (come nel caso sopra evidenziato della truffa mediante millantato credito).

È facile rilevare come i risultati di questa seconda categoria di pensiero risultino simili a quelli raggiunti dalla prima in ordine alla soluzione del problema; e altrettanto evidente come la presunta volontà di tener conto solo dei referenti normativi venga violata in modo evidente in quanto essi vengono violentati dal processo interpretativo.

Uno dei casi concreti che recentemente ha dato vita a controversie per la sua soluzione riguarda il rapporto tra malversazione e truffa aggravata ovvero tra il reato di malversazione ai danni dello Stato e quello della truffa aggravata al fine di ottenere indebitamente pubbliche erogazioni.

Le due norme tutelano oggettività giuridiche diverse, la prima il bene del buon andamento della pubblica amministrazione, la seconda il patrimonio.

Tale circostanza non è decisiva per negare l’applicabilità dell’assorbimento in quanto, come noto, ci sono fattispecie offensive nelle quali oltre all’offesa per il bene principale è contenuta anche al bene di diversa categoria. Ed infatti secondo un primo orientamento giurisprudenziale si esclude che i due reati possano concorrere tra loro in quanto ricorrerebbero i presupposti per l’applicazione dell’assorbimento.

Tale tesi si fonda sull’apprezzamento dell’offesa al bene protetto e sulla valutazione complessiva del disvalore del fatto concreto: i due diversi comportamenti incriminati dalle due norme, quello relativo agli artifizi o raggiri prima del conseguimento del finanziamento e quello consistente nella successiva distrazione dei fondi alle pubbliche finalità rappresenterebbero gradi diversi di una offesa allo stesso bene.

Ne consegue che l’offesa successiva, vale a dire la diversa destinazione impressa al finanziamento illecitamente conseguito, rimarrebbe assorbita nel reato di truffa aggravata non potendosi punire due volte i diversi comportamenti offensivi dello stesso bene.

La prevalente giurisprudenza di legittimità riconosce invece la possibilità di concorso tra le fattispecie; tale tesi si fonda sui seguenti argomenti: i comportamenti incriminati sono differenti e cronologicamente distinti; la truffa stigmatizza la modalità illecita del conseguimento dei finanziamenti, la malversazione la mancata destinazione dei fondi alla finalità di pubblico interesse per la quale essi sono stati erogati.

Non si rientra pertanto nel concetto di “stessa materia” ed è esclusa l’applicabilità dell’articolo 15 del codice penale agli illeciti in questione. Inoltre, e qui la Suprema Corte ribadisce un vecchio concetto ad essa caro, aspramente criticato dalla dottrina, i due reati tutelano beni diversi e ciò impedisce che uno assorba il disvalore dell’altro.

Le ragioni che stanno a monte di questa posizione sono entrambe criticabili: la seconda in quanto, come sopra accennato, esistono delle fattispecie plurioffensive nelle quali all’offesa al bene principale se ne accompagna altra a differente bene di categoria e ciò anche quando ricorra tra tali fattispecie il principio di specialità: non si vede per quale ragione dovrebbe precludersi la possibilità di applicare l’assorbimento.

Per quanto riguarda la prima, è criticabile il rilievo sulla diversa cronologia delle fattispecie: se così fosse non si porrebbe la dicotomia tra assorbimento e concorso formale mancando il presupposto dell’unicità dell’azione, tutt’al più si potrebbe applicare il cumulo giuridico per la presenza del nesso teologico tra i due reati che comporterebbe l’applicazione dell’istituto del reato continuato.

L’intero fatto materiale è uno solo e consiste nell’ottenimento della pubblica erogazione che è comune alle due fattispecie e di per sé è penalmente rilevante; ad esso si aggiunge la modalità fraudolenta per conseguirlo, proprio della figura di cui all’articolo 640 bis e la mancata destinazione al fine pubblico per il quale è stato concesso, tipico dell’articolo 316 bis.

Risulta evidente come nessuna delle due fattispecie assorba il disvalore dell’altra proprio perché i due elementi di originalità di entrambe le fattispecie rispetto al nucleo comune esprimono il rispettivo momento di offesa.

Si è di fronte a quel mero rapporto di interferenza tra fattispecie descritto dai fautori della teoria della specialità reciproca che si differenzia da essa richiedendo l’applicazione della disciplina del concorso formale proprio perché il nucleo comune alle due fattispecie riguarda un comportamento di per sé penalmente irrilevante.

Avv. Luca Sansone


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