L’articolo 1 del codice civile recita della capacità giuridica, che è sinonimo di soggettività di diritto e si ottiene con la nascita. Il secondo comma sembra confermare questo dato subordinando alla nascita i diritti riconosciuti al nascituro concepito. Già però analizzando il significato logico della lettera della disposizione nasce un dubbio sulla certezza dell’affermazione: se, infatti, al concepito sono riconosciuti dei diritti si potrebbe obiettare che egli sia già titolare di una capacità giuridica in relazione ad essi, subordinati alla nascita si, ma che si costituiscono prima di essa. Pertanto è necessario analizzare i referenti normativi che trattano del nascituro per stabilire se egli sia dotato di una sorta di soggettività o meno. L’articolo 320 in tema di rappresentanza e amministrazione stabilisce che i genitori rivestono tali uffici nei confronti dei figli nati e nascituri; da questa disposizione si potrebbe arguire come la rappresentanza presupponga un soggetto da rappresentare. L’articolo 462 primo comma riconosce al concepito al momento dell’apertura della successione la capacità di succedere anche ex legge. Inoltre l’articolo 643, in tema di amministrazione dell’eredità giacente, prevede che, a differenza di quanto previsto per il non concepito, se chiamato all’eredità sia un concepito, l’amministrazione spetta ai suoi genitori. L’articolo 784 ammette la possibilità che una donazione sia compiuta a favore di un nascituro e prevede che, se esso è concepito al momento della liberalità, i frutti maturati dopo di essa e prima della nascita siano attribuiti al figlio nato. Dall’analisi di questi referenti normativi non sembra azzardato sostenere la tesi di una capacità, per quanto ridotta, del concepito che ben potrebbe conciliarsi con l’affermazione del secondo comma dell’articolo uno se la si collocasse sotto la condizione risolutiva della mancata nascita. In tal modo si darebbe coerenza a tutte le disposizioni esaminate senza negare il ruolo della nascita che, ove non avvenisse, con il meccanismo della retroattività proprio della condizione in tal caso risolutiva, cancellerebbe ogni effetto giuridico. La giurisprudenza dominante non è però di tale avviso e propende per dare peso assoluto al primo comma dell’articolo uno che riconosce la capacità giuridica solo al soggetto nato ritenendo che tutte le situazioni che si sono ora prese in analisi siano in attesa di espansione e si concretizzino solo con la nascita. Stabilire se il concepito possa o meno, almeno in parte, essere considerato soggetto del diritto e attributario di una sfera di capacità giuridica, è prodromico alla soluzione della tematica nota sotto il titolo “diritto a non nascere” che, ove esistesse, comporterebbe nel caso di una sua violazione come sua conseguenza il diritto al riconoscimento di un risarcimento del danno in tutte le sue accezioni patrimoniali e non a favore del soggetto una volta nato. Le situazioni prese in esame e presentatesi nella realtà sono molteplici e con marcate differenze tra loro: si va dal caso di mancata diagnosi durante la vita fetale di importanti patologie a quello in cui la patologia è effetto del contagio dei genitori, a quello in cui i genitori, malgrado la conoscenza di una grave patologia, decidono ugualmente di far nascere il loro concepito, a quello in cui la patologia si sarebbe potuta evitare se non ci fossero state omissioni diagnostiche del medico. Come prima anticipato, la soluzione del problema è legata in gran parte al riconoscimento o meno della capacità giuridica al concepito; e infatti propendendo per la tesi negativa, in passato la giurisprudenza ha negato ogni risarcimento del danno provocato durante la vita prenatale sostenendo che presupposto indefettibile per il riconoscimento del diritto al risarcimento danni consista nel fatto che al momento dell’evento lesivo il soggetto danneggiato sia già venuto  ad esistenza e che l’azione non spetti a chi sia leso prima della sua nascita. Tale impostazione ha incontrato opposizioni da parete di alcuna dottrina: parte di essa riflette infatti circa la possibilità di riconoscere diritti al nascituro prima ancora della sua nascita ai sensi dell’articolo uno del codice civile letto valorizzando il secondo comma. Il ragionamento troverebbe altresì fondamento nei doveri di solidarietà imposti dall’articolo 2 della Costituzione il quale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, tra i quali non può non collocarsi, sia pure con caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito; ma anche con le norme a protezione del concepito desumibili dalla legge 22 maggio 1978 numero 194 sull’interruzione della gravidanza. Queste ultime, a ben vedere, sono poste esclusivamente a tutela della salute della madre, come si evince dai motivi che la consentono per cui sembra evidente che, almeno rispetto a tale referente normativo, non sia rinvenibile un diritto a non nascere o a nascere solo se sani, anzi, rappresentando le fattispecie che consentono l’interruzione della gravidanza un’eccezione alla regola, essa va rinvenuta nel diritto a nascere o, meglio, del diritto dei genitori e, in particolare, della mamma, a far nascere. Nel luglio del 2004 la Suprema Corte ha ribadito queste posizioni escludendo la configurabilità di un diritto a non nascere del concepito: essa ha posto in evidenza che:

a) tra la salvaguardia della salute della donna e la tutela del feto, la legge sull’aborto consente alla madre di autodeterminarsi e di richiedere l’interruzione di gravidanza

b) secondo un’attenta lettura della nostra legislazione e del dettato costituzionale la capacità giuridica della persona umana si manifesta solo alla nascita. Più nello specifico l’analisi dei giudici di legittimità parte dalla considerazione per cui, sulla base della legge numero 194 del 1978, deve essere esclusa l’esistenza dell’ammissibilità del cosiddetto aborto eugenetico per il quale un feto malformato non debba essere lasciato nascere a prescindere dal pericolo derivante alla salute della madre; ciò nel rispetto dei principi di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione e della indisponibilità del proprio corpo di cui all’articolo 5 del codice civile. Secondo la Corte l’interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi previste dalla suddetta normativa costituisce infatti addirittura reato a carico della madre atteso che l’ordinamento tutela, semmai, anche attraverso sanzioni penali, il diritto del concepito a nascere, sia pure affetto da malformazioni o da patologie, e non piuttosto un diritto a non nascere o a non nascere se malformato. Se da una parte sulla base del combinato disposto degli articoli 4 e 6 della legge numero 194 del 1978 si evince che l’aborto e finalizzato solo di evitare pericoli seri e gravi alla salute della donna e che trattasi di un diritto il cui esercizio spetta solo alla madre, dal suo canto pare chiaro come un ipotetico diritto a non nascere costituirebbe un diritto adespota. L’articolo uno del codice civile attribuisce la capacità giuridica all’individuo al momento della nascita mentre i diritti previsti dalla legge a favore del concepito sono subordinati al suo venire alla luce ed esistono dal momento della nascita medesima pertanto, proseguendo nella ricostruzione del concetto espresso dai supremi giudici, si arriverebbe al paradosso che il diritto di non nascere non avrebbe fino al momento del parto un soggetto titolare mentre lo stesso diritto scomparirebbe definitivamente con l’avvenuta nascita del soggetto concepito. Dunque è inammissibile pensare di configurare una posizione giuridica che, di fatto, risulterebbe priva di un titolare visto che per rispettare l’ipotizzato diritto a non nascere del concepito malformato, non lo si farebbe venire alla luce. Addirittura, conclude la Cassazione, è proprio il nostro ordinamento, laddove sanziona in modo più severo l’aggressione alla vita (articolo 575 del codice penale) rispetto all’aggressione all’integrità fisica ad impedire che il non nascere del concepito sia da considerare preferibile ad una esistenza condotta dalla persona malformata. Le successive sentenze dei giudici di merito hanno confermato questa posizione del giudice di legittimità con la conseguenza della inevitabile esclusione di ammissibilità di richieste di risarcimento del danno per il figlio concepito essendo al più pertanto configurabile un diritto a nascere e a nascere sani suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua accezione positiva nel senso che, sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extra contrattuale o da contatto sociale, nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie sia tramite il comportamento commissivo che omissivo, doloso o colposo, sotto il profilo pubblicistico nel senso che debbono venire ad essere predisposti tutti gli istituti normativi e tutte le strutture di tutela cura e assistenza della maternità idonei a garantire, nell’ambito delle umane possibilità, al concepito il diritto di nascere sano.

Avv. Luca Sansone 

Referenti normativi

  • Art. 1 c.c.
  • Art. 320 c.c.
  • Art. 462 c.c.
  • Art. 784 c.c.
  • Art. 575 c.p.
  • Legge n. 194/78