Traccia e schema di diritto amministrativo sul tema delle penalità di mora art. 114 e del giudizio di ottemperanza per il concorso in magistratura 2019.
Giudizio di ottemperanza e penalità di mora. Corso di preparazione concorso in magistratura.
Premessi brevi cenni sul giudizio di ottemperanza si soffermi il candidato sulle penalità di mora di cui all’art. 114 comma 4 lett. E, e sulla possibilità di riesame delle stesse in sede di giudizio di chiarimento.
Nozione ed excursus del processo di ottemperanza, evoluzione fino alla l. 205 del 2000 e al codice del processo amministrativo, nasce con il “pacchetto Crispi” in relazione ai limiti di cui all’art. 4 all. E) del 1865 del g.o. nei confronti della p.a.; quasi subito ci si rende conto che è necessario anche nei confronti del giudicato amministrativo che non sempre è auto esecutivo, soprattutto mas non solo nel caso di lesione di interessi pretensivi.
Natura giuridica, necessariamente di previa cognizione della sentenza da ottemperare, sia essa del g.o. o del g.a. in quanto manca il presupposto di un chiaro titolo esecutivo.
La penalità di mora, art. 114 comma 4 lett. E del c.p.a. funzione prettamente sanzionatoria nei confronti della p.a. inadempiente, differenze rispetto all’art. 614 bis del c.pc. che la prevede solo per le condanne a fare o non fare e ad esse si accompagna trovando concretizzazione solo nel caso di inadempimento.
Giudizio di chiarimento ex artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, c.p.a., presuppone dubbi sull’esatta portata del comando giuridico ed è volto esclusivamente alla loro dissoluzione, non è per tanto nè un incidente di esecuzione né tanto meno può essere utilizzato come una sorta di impugnazione mascherata.
Utilizzabilità del giudizio di chiarimento in relazione alla penalità di mora, si in considerazione della funzione dell’istituto che cronologicamente ha un senso fino a quando perdura l’inadempimento della p.a. e quindi non oltre la nomina del commissario ad acta; in quel momento inizia l’esecuzione ed è possibile tramite il giudizio di chiarimento la revisione della misura.
Avv. Luca Sansone
Esecuzione del giudicato: la c.d. ottemperanza di chiarimenti.
La giurisprudenza del Consiglio ha già avuto modo di evidenziare come il ricorso ex art. 112, comma 5, cod. proc. amm. non presenti caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza, trattandosi di un ricorso che ha natura giuridica diversa tanto dall’azione finalizzata all’attuazione del comando giudiziale (art. 112, comma 2), quanto dall’azione esecutiva in senso stretto (art. 112, comma 3), e che presuppone dubbi o incertezze sull’esatta portata del comando giuridico oggetto dell’obbligo conformativo, né può essergli attribuita la natura di incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 114, comma 7, ponendosi esso dal punto di vista logico-sistematico al di fuori del vero e proprio giudizio di ottemperanza.
Sulla base di tali premesse il Consiglio di Stato nella sentenza depositata in data 19 ottobre 2018 ha affermato che “il rimedio della richiesta di chiarimenti è ammissibile, nel suo contenuto proprio di strumento volto a ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, laddove si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che con ciò possano essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare il proprium delle statuizioni rese (cfr. ex multis Consiglio di Stato sez. V 16 maggio 2017 n. 2324 e 6 settembre 2017 n. 4232, sez. IV 30 novembre 2015 n. 5409);
– la peculiare natura della domanda in esame è confermata dal principio a monte del quale la pronuncia adottata dal Tar in un giudizio di ottemperanza in seguito a richiesta di chiarimenti non è appellabile, avendo effetti meramente esecutivi e dunque sostanzialmente ordinatori (Consiglio di Stato sez. IV 09 aprile 2018 n. 2141);
– in definitiva la c.d. ottemperanza di chiarimenti costituisce un mero incidente sulle modalità di esecuzione del giudicato — utilizzabile quando vi sia una situazione di incertezza da dirimere che impedisce la sollecita esecuzione del titolo esecutivo — e non un’azione o una domanda in senso tecnico, con la conseguenza che non può trasformarsi in un’azione di accertamento della legittimità o liceità della futura azione amministrativa, né in un’impugnazione mascherata, che porti di fatto a stravolgere il contenuto della pronuncia, la quale non può più venire riformata né integrata dal giudice dell’ottemperanza ove la pretesa avanzata sia de plano ricavabile dal tenore testuale della sentenza da eseguire;
– pertanto, in tale ottica i quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell’ottemperanza devono attenere alle modalità dell’ottemperanza e devono avere i requisiti della concretezza e della rilevanza, non potendosi sottoporre al giudice questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma solo questioni specifiche che siano effettivamente insorte durante la fase di esecuzione dello stesso;
– infatti, lo strumento in esame non può trasformarsi in un pretesto per investire il giudice dell’esecuzione, in assenza del presupposti suindicati, di questioni che devono trovare la loro corretta risoluzione nella sede dell’esecuzione del decisum, nell’ambito del rapporto tra parti e amministrazione, salvo che successivamente si contesti l’aderenza al giudicato dei provvedimenti così assunti (…)
Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Chiarimenti – Penalità di mora – Modifica relativa statuizione – Possibilità ed effetti – Rimessione Adunanza plenaria.
Vanno rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni 1) se e in quali termini sia possibile in sede di c.d. “ottemperanza di chiarimenti” modificare la statuizione relativa alla penalità di mora contenuta in una precedente sentenza d’ottemperanza; 2) se e in che misura la modifica di detta statuizione possa incidere sui crediti a titolo di penalità già maturati dalla parte beneficiata (1).
(1) Ha chiarito la Sezione che condivisibile giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene che l’astreinte costituisca mezzo di coercizione indiretta nel tempo in cui l’amministrazione debitrice permane nella mera condizione di inadempiente con propri mezzi: dunque, dalla pronuncia dell’ordine di ottemperanza alla nomina del commissario ad acta. Ma, una volta intervenuta la surrogatoria nomina del commissario ad acta, “diviene irragionevole ritornare alla più contenuta astreinte” (Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6724).
L’assunto, che riflette l’immanente principio di utilità, presuppone la maggior efficacia e miglior attitudine satisfattiva del diretto strumento surrogatorio – perché in grado di attribuire direttamente il bene della vita – rispetto all’indiretto strumento sanzionatorio. Implicito postulato di tale predicato è tuttavia che la penalità di mora perduri in misura non iniqua.
Diversamente si giungerebbe al paradosso che potrebbe divenire ben più locupletante la maturazione dell’astreinte rispetto al conseguimento dello stesso bene della vita, e cioè la soddisfazione dell’oggetto del petitum sostanziale della originaria domanda giudiziale.
E non pare dubbio che, in una siffatta ipotesi, ci si troverebbe di fronte ad un sostanziale arricchimento senza causa generato da un atto del giudice.
È evidente l’effetto distorsivo di un tale meccanismo; per cui è necessario rinvenire all’interno dell’ordinamento processuale la soluzione a situazioni di manifesta iniquità o sussistenza d’altre ragioni ostative all’applicazione dell’astreinte che venissero in rilievo dopo la statuizione sanzionatoria.
Non può trovare protezione da parte dell’ordinamento un rimedio compulsorio che nella realtà pratica ed economica viene a porsi come più prezioso dello stesso bene della vita reclamato in giustizia, divenendo un’occasione straordinaria e senza ragione d’ingiustificato arricchimento per l’interessato.
Alla luce di quanto s’è osservato, per la Sezione remittente la soluzione alle questioni emerse riposa nella revisione, in sede di chiarimenti ex artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, c.p.a., della misura sanzionatoria precedentemente disposta – sulla base di diversi presupposti fattuali (o giuridici) – con eventuale efficacia correttiva in bonampartem anche per il passato.
Non avendo l’astreinte natura risarcitoria, la revisione nulla sottrarrebbe al risarcimento degli eventuali danni, secondo le regole sue proprie, per il ritardo nell’adempimento.
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