La figura del dirigente pubblico nasce nel nostro ordinamento con il D.P.R. n. 3/72 in coerenza con la concezione pubblicistica di tutta la disciplina del pubblico impiego: pertanto ogni aspetto relativo al rapporto di lavoro è regolato da provvedimenti autoritativi rispetto ai quali la sua tutela viene portata innanzi al g.a. titolare di una giurisdizione esclusiva nel pubblico impiego. Inoltre il suo campo d’azione è limitato dal fatto che l’autorità politica è titolare del potere di amministrazione apicale con la conseguenza che è competente a ricevere i ricorsi gerarchici contro i suoi atti nonché ad attivare i poteri di avocazione per i procedimenti rispetto ai quali ritiene opportuno decidere in prima persona. Con la privatizzazione del pubblico impiego operata in prima battuta con il d. legsl. n.  29/93, il dirigente pubblico incomincia ad assimilarsi a quello del suo omologo privato sia da un punto di vista di operatività, essendo stata privata l’autorità politica della competenza relativa all’amministrazione attiva, sia da un punto di vista della disciplina del rapporto di servizio che viene da quel momento regolato dal contratto, dando vita in capo ad esso ad una posizione di interesse legittimo privato, del tutto simile a quello di cui sono titolari i lavoratori di imprese private e con il conseguente spostamento della competenza giurisdizionale innanzi al g.o..La qualifica di dirigente è ormai staccata dalla sua posizione concreta all’interno di una pubblica amministrazione in quanto essa è relativa ad un ruolo dal quale l’autorità politica competente sceglie i singoli soggetti a cui demandare gli incarichi concreti. Solo con l’incarico si instaura il rapporto di lavoro. Prima della novella del 2002, di cui si parlerà in seguito, l’incardinazione del dirigente nel posto di lavoro trovava la sua fonte in due referenti: il contratto che conteneva ogni aspetto relativo al rapporto di servizio, non solo quello retributivo ma anche tutto ciò che concerneva le competenze, gli indirizzi da seguire, i risultati da perseguire e quant’altro e il provvedimento di conferimento che   aveva la funzione di una mera ricognizione di quanto contenuto nel contratto; tutto ciò era in piena coerenza con il concetto di privatizzazione del rapporto di lavoro del pubblico dirigente. La legge n. 145/2002 ha significativamente mutato il rapporto tra il contenuto del provvedimento di conferimento dell’incarico e il contratto: a quest’ultimo è deputato esclusivamente l’aspetto retributivo mentre il primo contiene l’intera disciplina del rapporto di servizio. Molti esponenti della dottrina hanno ritenuto che in questo modo il legislatore abbia voluto spingere verso una  “ripubblicizzazione” della disciplina della pubblica dirigenza. Come conseguenza di ciò si è ritenuto che il provvedimento di nomina dovesse essere considerato alla stregua di quegli atti cosiddetti di macro organizzazione, veri e propri provvedimenti amministrativi, come tali sottratti al sindacato diretto del g.o. .Sul punto si è espressa la Suprema Corte decidendo in sede di regolamento di giurisdizione: gli “ermellini” hanno ritenuto che nonostante le modifiche del 2002, il conferimento di incarico debba ritenersi mero atto di gestione omologo a quello di un qualsiasi datore di lavoro privato e che pertanto in materia sussista la giurisdizione del g.o..Interessante questione è quella che concerne la posizione giuridica che il dirigente vanta rispetto alla nomina in una certa posizione dirigenziale: proprio in considerazione della natura giuridica del provvedimento di nomina, di cui si è sopra discusso, il dirigente non può essere considerato titolare di alcuna posizione, neanche di interesse legittimo considerato che la nomina non segue all’espletamento di alcuna gara. L’unico limite che l’autorità politica nominante non può varcare è quello relativo al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, in maniera non dissimile da ciò che avviene nel rapporto di lavoro privato, che nel pubblico impiego si ricollegano al referente dell’articolo 97 della Costituzione. Posto che il giudice competente per quanto sopra detto è quello ordinario, la tutela concerne la perdita di chance per mancata nomina e consiste nel danno emergente e non in un lucro cessante da danno futuro, e richiede un pesantissimo onere della prova da parte del dirigente attore sia per quanto concerne la dimostrazione del comportamento scorretto della pubblica amministrazione, sia in relazione al nesso di causalità tra esso e la mancata nomina.

Avv. Luca Sansone