Approfondimento in diritto penale.

La confisca è prevista in via generale all’articolo 240 del codice penale. Essa consiste in una misura di sicurezza in quanto colpisce il bene tramite il quale si è commesso il reato o quello che si è conseguito tramite l’attività delittuosa. Per i reati tributari era impossibile applicare tale istituto in quanto il vantaggio ad esso conseguente consiste nel risparmio di spesa del tributo. Per questo la legge finanziaria del 2008 ha reso applicabile ai reati tributari la confisca prevista all’articolo 322 bis. Essa, però, originariamente poteva avere ad oggetto solo il prezzo conseguito tramite il reato ovvero il suo corrispondente come valore economico aggredendo beni che fossero nella disponibilità del suo autore. Questa seconda tipologia di confisca, detta per equivalente, non essendo mirata nei confronti di un bene in qualche modo legato al reato e quindi al concetto di pericolosità, viene classificata anche secondo le concezioni in materia espresse dalla C.E.D.U., come una vera e propria sanzione. Nel modo in cui era scritta tale norma, essa risultava inapplicabile nei confronti dei reati tributari ove è assente il concetto di prezzo. La riforma dell’articolo 322 bis avvenuta nel 2012, ha aggiunto al prezzo la parola profitto, rendendo in tal modo possibile l’applicazione nelle due modalità previste nei confronti dell’autore del reato. Il problema che si è posto è stato quello dell’ammissibilità di applicare la confisca di valore all’ente nel caso in cui il reato tributario sia commesso dal suo rappresentante in considerazione della constatazione di chi possa essere considerato il vero beneficiario dell’attività delittuosa. Escludendo la possibilità di applicare la confisca prevista dal decreto legislativo numero 231/2001 in quanto i reati tributari non fanno parte di quelli tassativamente previsti che fanno scattare la responsabilità amministrativa dell’ente, l’unica strada percorribile era quella di ritenere in qualche modo possibile l’applicazione della confisca per equivalente prevista dall’articolo 322 bis nei confronti dell’ente. Si è cercato a tal fine di fare appello alla teoria della immedesimazione organica che effettivamente ha consentito l’imputazione diretta degli illeciti civili compiuti in occasione dell’espletamento delle mansioni da parte dei suoi dipendenti all’ente, quasi come se fosse possibile ritenerlo il vero autore del reato tributario. Si è anche battuta la strada di un’interpretazione molto ampia del concetto di disponibilità contenuto nell’articolo 322 bis, sostenendo che il rappresentante dell’ente, in quanto tale, disponga dei beni dello stesso in tal modo rendendo possibile a suo carico la confisca dei beni dell’ente. Entrambi i tentativi sono stati bocciati dalla Suprema Corte: il primo nel senso che l’immedesimazione organica non può giungere fino al punto di derogare al principio costituzionale della responsabilità personale in campo penale, il secondo nel senso che il rappresentante ha solo la competenza di compiere atti sui beni dell’ente che rimane l’unico titolare di essi. Pertanto, fin quando non interverrà un intervento legislativo in tal senso, ad esempio di ricomprendere i reati tributari tra quelli ai quali è applicabile la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, l’unico soggetto a cui è applicabile la confisca nelle due forme previste all’articolo 322 bis, è il rappresentante autore del reato.

Avv. Luca Sansone