Dies a quo della decorrenza per il termine di prescrizione dell’azione di riduzione.

Termine di prescrizione dell’azione di riduzione.

Secondo il prevalente orientamento, l’azione di riduzione rappresenta un fenomeno di inefficacia successiva, totale o parziale, dell’atto colpito da riduzione.

In sostanza, la sentenza di riduzione non produce un nuovo trasferimento dei beni nel patrimonio del de cuius, ma opera in modo che il trasferimento conseguente alle disposizioni lesive si consideri come mai avvenuto.

Il legittimario che ha esperito vittoriosamente l’azione di riduzione, pertanto, «acquista i beni non in forza di sentenza, bensì della vocazione necessaria (titolo legale) che, per l’effetto della sentenza stessa (la quale, ripetesi, rende a lui inopponibili le disposizioni lesive) si produce in suo favore».

In giurisprudenza, è stato ulteriormente precisato che la riduzione della disposizione testamentaria conseguente all’accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell’atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace ex nunc nei confronti del legittimario vittorioso, sicché, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie o le donazioni lesive della quota di legittima esplicano la loro efficacia.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il termine di prescrizione dell’azione di riduzione decorre dalla data di apertura della successione (vale a dire dalla data di morte della persona della cui eredità si tratta).

Altro ed opposto orientamento giurisprudenziale, invece, individua il termine di decorrenza della prescrizione dell’azione di riduzione nella data di pubblicazione del testamento.

E’ soltanto da tale momento – viene osservato – che si determina una presunzione iuris tantum di conoscenza delle disposizioni lesive: solo a partire da tale data, quindi, i legittimari sono in condizione di fare valere il loro diritto e richiedere la riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva.

Nuovo orientamento: ipotesi in cui la (potenziale) lesione della legittima sia ricollegabile a disposizioni testamentarie. In tal caso, il legittimario, fino a quando il chiamato in base al testamento non accetti l’eredità, rendendo attuale quella lesione di legittima che per effetto delle disposizioni testamentarie era solo potenziale, non sarebbe legittimato (per difetto di interesse) ad esperire l’azione di riduzione.

Appare allora evidente – a giudizio delle Sezioni Unite della Cassazione – che se manca la situazione di danno (accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base al testamento) alla quale l’azione di riduzione consente di porre rimedio, non può decorrere il termine di prescrizione di tale azione, con la precisazione che, per potere eliminare la situazione di incertezza, il legittimario potrà esperire nei confronti del chiamato all’eredità per testamento l’actio interrogatoria ex art. 481 c. c.

Nel caso in cui la lesione sia dovuta a donazioni il temine scatterà invece dal momento dell’apertura della successione in quanto la lesione è attuale.

Con la sola apertura della successione, infatti, non si è ancora realizzata la lesione di legittima e quindi mancano le condizioni di diritto perché possa iniziare a decorrere il termine per l’esperimento del rimedio predisposto dal legislatore per porre riparo a tale lesione.

La dottrina ammette quasi concordemente che (a differenza della petizione di eredità) l’azione di riduzione sia soggetta alla prescrizione ordinaria decennale: ad avviso del prevalente indirizzo interpretativo, il termine decorrerà dall’apertura della successione, ma in alcuni casi – secondo il criterio generale dell’art. 2935 c. c. – la decorrenza iniziale può ritenersi prorogata fino al giorno in cui è cominciata la possibilità di esercitare il diritto in questione.

Avv. Luca Sansone