La S.C.I.A. è istituto di recente conio frutto dell’evoluzione del diritto amministrativo italiano votato, insieme ad altri, ad una  semplificazione  e ad una dismissione per quanto possibile del modulo  autoritativo, che consente al privato di intraprendere  in tempi brevi un’attività per la quale possiede i titoli e all’amministrazione di risparmiare i costi procedimentali altrimenti necessari per l’emanazione di un provvedimento ampliativo  volto a verificare il possesso da parte del privato dei requisiti richiesti dalla legge per intraprendere la detta attività. Essa trova referente generale della legge 241/90 all’articolo 19 e specifico in campo edilizio all’articolo 22 del T.U. per l’edilizia emanato con D.P.R. n.  380/2000. Dopo varie discussioni dottrinali e giurisprudenziali, ormai l’opinione dominante ritiene che la sua natura sia di atto del privato, solo equipollente rispetto agli effetti ad un provvedimento amministrativo. Si pone allora il problema della tutela del contro interessato rispetto all’attività facoltizzata dalla presentazione della S.C.I.A.Per cercare di risolverlo, occorre partire dalla individuazione della posizione che vanta il soggetto titolare di un diritto reale immobiliare al rispetto da parte del vicino della normativa edilizia se, cioè, quest’ultima venga posta nell’interesse dei proprietari vicini o in quello pubblico di un corretto sviluppo dell’attività edilizia. In questo secondo caso, esclusa la natura di diritto soggettivo in capo al proprietario finitimo, appare difficile costruirne la posizione anche come interesse legittimo; se quest’ultima posizione è ormai definita in senso sostanziale come una proiezione qualificata (dalla norma che pone il potere) rispetto ad un bene della vita, non si vede come ancorare tale differenziazione rispetto al “quisque de populo”. In considerazione di ciò inizialmente qualche esponente della dottrina ipotizzò che la tutela del contro interessato rispetto all’attività edilizia potesse trovare soddisfazione innanzi al giudice ordinario, senza alcun problema di disapplicazione di atti amministrativi in virtù della considerazione che la S.C.I.A. non è un atto amministrativo. Attualmente la giurisprudenza e la dottrina dominanti si sono attestate sulla tesi che delinea la posizione del contro interessato alla stregua di un interesse legittimo, opinione per quanto diffusa non scevra da critiche per quanto sopra sostenuto.Ciò premesso e alla luce di quanto premesso, si ripropone il problema della tutela del contro interessato rispetto all’attività edilizia legittimata da S.C.I.A.. Esclusa la possibilità di impugnare l’atto, visto che la S.C.I.A. atto non è, sarebbe rimasta quella di una diffida alla pubblica amministrazione affinché facesse uso dei suoi poteri di auto tutela e di conseguente impugnazione dell’eventuale atto di diniego o di un’azione contro il silenzio in caso di inerzia della pubblica amministrazione. Questa strada è stata però negata dalla giurisprudenza che ha preferito percorrerne un’altra più celere e satisfattoria per il privato, vale a dire un’azione di accertamento dell’inadempimento e di conseguente condanna della pubblica amministrazione all’esercizio dei suoi poteri di auto tutela.Il codice del processo amministrativo ha rappresentato il punto di arrivo di un’evoluzione del processo amministrativo, nato nel 1889 con l’istituzione della VI sezione del Consiglio di Stato come processo di impugnazione dell’atto illegittimo al fine di ottenerne la sua demolizione. Tale impalcatura ha reso poco tutelabile la categoria degli interessi legittimi pretensivi. Sulla falsariga delle creazioni giurisprudenziali, poi recepite in testi di legge, tale impostazione si è pian piano erosa, anche nel rispetto dell’articolo 24 della Costituzione che regala dignità di rango costituzionale all’interesse legittimo, compreso quello pretensivo. La risarcibilità aquiliana, sancita dalla sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite del 1999, l’azione, già prevista dalla legge 205 del 2000 contro il silenzio inadempimento, l’abbandono del solo strumento della sospensiva per l’azione cautelare, ormai divenuta atipica come quella corrispondente nel processo civile prevista all’articolo 700 del codice di procedura civile, testimoniano questo dato e ci dicono che ormai il processo amministrativo non può più essere considerato un processo all’atto ma entra nel merito del rapporto, con l’unico limite di intangibilità della sfera discrezionale della pubblica amministrazione, a meno che essa non risulti viziata per eccesso di potere.Il titolo III del capo 2 del libro 1° del codice del processo amministrativo, descrive le tipologie delle azioni ammissibili innanzi al giudice amministrativo; tra esse manca quella di accertamento dell’inadempimento della pubblica amministrazione con conseguente condanna ad un facere di diritto pubblico. Ciò ha fatto dubitare, anche per rispetto delle antiche concezioni sul processo amministrativo, di una sua ammissibilità, fuori dei casi tassativi in cui essa è prevista, come nell’azione relativa all’accertamento del silenzio inadempimento con condanna della pubblica amministrazione a provvedere e in quella di declaratoria di nullità. Tale assunto è stato eroso in virtù di un’evoluzione giurisprudenziale, figlia di una valorizzazione dell’articolo 24 della Costituzione che pretende una tutela piena per gli interessi legittimi: essa ha trovato concretizzazione proprio rispetto alla tutela del conto interessato ad attività edilizia legittimata da presentazione di S.C.I.A.  Partendo dalla considerazione che in più punti il codice del processo amministrativo consente al giudice amministrativo di conoscere del rapporto e non solo dell’atto, si è valorizzato il referente normativo di cui all’articolo 34 lettera C), ancor di più con l’innovazione sul punto immessa nel 2012, che, tra i possibili contenuti della sentenza, consente la condanna della pubblica amministrazione al rilascio di un provvedimento, nei limiti previsti dall’articolo 31 comma terzo. Tale strumento presuppone che il giudice possa conoscere il rapporto senza che in tal modo venga violata la sfera del potere discrezionale della pubblica amministrazione e in tal senso si comprende il richiamo al limite previsto in tema di azione sul silenzio inadempimento che consente al giudice di pronunciarsi anche sulla fondatezza della istanza del privato a condizione che il potere sia vincolato o comunque risulti esaurita l’espressione di discrezionalità da parte della pubblica amministrazione. Pertanto il contro interessato all’attività edilizia potrà in base all’articolo 34 lettera C) chiedere al giudice, previa accertamento della non rispondenza alla legge della S.C.I.A., di ordinare alla pubblica amministrazione di attivare i suoi poteri di auto tutela. Non essendo classificabile la S.C.I.A. alla stregua di un atto amministrativo, in questo caso non viene toccata alcuna sfera del potere della pubblica amministrazione.   

    Avv. Luca Sansone