Approfondimento in diritto amministrativo.

 La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, stipulata a Roma nel 1950 e ratificata dall’Italia nel 1955, è un accordo  internazionale tra stati che consiste in una codificazione dei diritti fondamentali dell’uomo che vanno rispettati dalle normative interne degli stati firmatari, con la previsione di un organo giurisdizionale che può essere adito non solo dagli Stati aderenti, ma anche dai singoli cittadini o da gruppi cittadini di essi, affinché venga accertata la violazione da parte delle legislazioni, dei succitati diritti fondamentali.Si discute in quale maniera tale normativa abbia un impatto all’interno del nostro ordinamento giuridico: la risposta a tale quesito richiede di accertare quale sia il referente normativo costituzionale di essa. La dottrina è univocamente d’accordo che esso non possa consistere nell’articolo 10 primo comma della Costituzione che dispone la conformazione del nostro ordinamento al diritto internazionale così come generalmente riconosciuto e ciò per il fatto che la CEDU ha  fonte pattizia. Si potrebbe allora ritenere che il referente della CEDU sia l’articolo 11 della Costituzione, che consente limitazioni di sovranità del nostro Stato a favore di un ordinamento che promuove pace e giustizia tra le nazioni: tale articolo, però, è stato pensato in relazione all’ONU e in seguito ha offerto copertura alle norme emanate dall’U.E. e non sembra attagliarsi ad una convenzione che non dà vita ad un soggetto sovranazionale. Pertanto il referente normativo su cui fondare la rilevanza all’interno del nostro ordinamento delle norme della CEDU va rinvenuto nell’articolo 117 primo comma della Costituzione, così come modificato dalla riforma del 2001, che vincola la potestà legislativa sia dello Stato che delle regioni al rispetto, tra l’altro, degli  “altri” obblighi di diritto internazionale, tra i quali quelli assunti con la sottoscrizione della convenzione in commento.Pertanto, non entrando la normativa sui diritti fondamentali direttamente nel nostro ordinamento giuridico, ma rappresentando esclusivamente un limite di legittimità della legislazione sia centrale che regionale, la norma interna contrastante con la CEDU non può essere disapplicata direttamente dal giudice, come avviene in caso di contrasto tra norma interna e norma comunitaria, ma denunciata alla Corte Costituzionale per contrarietà all’articolo 117. Il giudice, prima di far ciò, dovrà constatare che è impossibile dare alla norma interna una interpretazione che la renda consonante con la CEDU. Recentemente la giurisprudenza amministrativa ha adottato una posizione diversa sul problema, fondandola sul trattato di Lisbona del 2009, che ha modificato il trattato U.E. oltre che costituito la comunità europea. In particolare l’articolo 6  del trattato U.E. ora dichiara l’adesione alla convenzione e la comunitarizzazione dei diritti fondamentali della CEDU: pertanto, essendo diventate tali norme comunitarie, consentirebbero a qualunque giudice del nostro ordinamento la loro immediata disapplicazione in caso di contrasto con norma interna.Tale posizione è stata sottoposta a critica in quanto la comunitarizzazione sembra riguardare solo la Carta di Nizza, adottata nel 2007 a Strasburgo, che codifica i diritti fondamentali della U.E.; per quanto riguarda la CEDU è prevista una mera adesione che non vuol dire assolutamente comunitarizzazione in quanto essa dovrà attuarsi con gli effetti dipendenti dalle specifiche modalità tramite cui sarà concretizzata. Pertanto solo rispetto ai diritti fondamentali contenuti nella Carta di Nizza è consentito al giudice interno il modulo della disapplicazione della norma interna in contrasto con essi, rimanendo ferma la necessità di adire la Corte Costituzionale per il caso di contrasto di norma interna con la CEDU.

Avv. Luca Sansone

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